Discussione: Progetto per ventolina
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Vecchio 12 giugno 07, 02:05   #23 (permalink)  Top
luca.masali
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Originalmente inviato da twentynine
Non farmi venire brutte idee...non farmi venire brutte idee....non...
però...però...dammi tempo ragazzo
HEY, MALEDETTO TE!
STAVO GIUSTO CERCANDO UN PROGETTINO ULTRARAPIDO PER NON ANDARE A PISA SOLO CON L'ILLUSION... MA LO SAI CHE SEI UN DANNATO?? MO M'HAI IMPULCIATO L'ORECCHIO, DANNATISSIMO UOMO!

e poi Hanna è un personaggio del mio prossimo romanzo... tié, eccovene un assaggino!


Nessun uomo sano di mente si sarebbe infilato in quel coso. Una cassa da morto di metallo, con le ali. Per di più imbottita di tritolo.
Nessun uomo sano di mente sopporterebbe l'urlo ossessivo di un pulsoreattore proprio dietro le orecchie: un primitivo incrocio tra un jet e un razzo, un coso rozzo che funziona facendo esplodere benzina dentro un tubo d'acciaio. L'aggeggio più rumoroso mai inventato da un pazzo. Non si può rallentarlo né silenziarlo, il pulsoreattore. Sbraita sempre alla massima potenza, centinaia di esplosioni al secondo che diventano un unico inferno acustico.
Finché il carburante non finisce. E allora le cose si fanno davvero difficili.
No, un uomo intelligente non avrebbe firmato quel documento che la Luftwaffe ti aveva messo in mano: se ne lavavano le mani di quel che ti poteva succedere in quel collaudo che terminerà con la morte, diceva, nero su bianco. Nessun uomo potrebbe amare Hitler come lo ami tu, al punto di metterti a cavalcioni di una bomba volante tanto per vedere se vale davvero la pena di morire per lui.
Ma tu non sei un uomo. Forse è per questo ami così tanto il tuo dio coi baffetti.
Un’ultima esplosione attraversa il tubo d’acciaio. La testa ti gira per l’improvviso silenzio. La minuscola carlinga non vibra più per colpa del rozzo motore alle tue spalle. Stranamente proprio adesso, che non ti senti più come la maionese sotto le fruste del cuoco, il posto di pilotaggio ti pare ancor più soffocante, così stretta che ti sembra di indossarlo, quella specie di aeroplano che in realtà è una bomba. Un vestito d’acciaio disegnato da un sadico.
La tua mano spinge impercettibilmente in avanti la cloche, e il muso di metallo si abbassa. Le tue unghie laccate di rosso graffiano la manopola di caucciù della barra. Sotto di te il cielo grigio acciaio si stempera nel marrone sporco del Baltico. L’aria sibila attorno al vetro corazzato della cabina. Il fischio diventa sempre più acuto mentre un fastidioso dolore alle orecchie sottolinea la velocità con cui stai scendendo. Inclini con precauzione la barra e la bomba descrive un largo cerchio sul mare gelido.
Davanti alla prua, in lontananza nella lurida laguna, la sagoma di una grossa isola si distingue a malapena. È quasi dello tesso marrone malsano del mare. Ancora non puoi vederlo, ma sai che laggiù, su quell’isola piatta e squallida tra Polonia e la madrepatria c’è il villaggio di Peenemünde.
E poco più sulla destra, tra campi devastati dai crateri delle bombe inglesi c’è il campo d’atterraggio. Non puoi riaccendere il motore, e nemmeno puoi rallentare la bomba volante. Hai una e una sola possibilità di centrare la pista al primo colpo.
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