Discussione: Gian Maria Aghem
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Vecchio 19 agosto 13, 19:12   #120 (permalink)  Top
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Record d'altezza.

Dopo aver letto gli ultimi interventi sul forum,
mentre tutti o quasi sono in vacanza ed io, in attesa della partenza, cerco di mettere ordine tra le mie carte, sento il desiderio di raccontare la storia del mio primo record, un primato solo italiano ed assolutamente di secondo piano, ma nella sua semplicità al tempo stesso complesso e spettacolare.
Il desiderio di cimentarmi, di provare a realizzare una prestazione estrema, mi aveva colto già da parecchio tempo ed avevo iniziato a studiare i regolamenti delle varie specialità, con particolare riferimento alle caratteristiche del mezzo ed alle modalità di effettuazione.
In questo è d’obbligo citare il certosino lavoro svolto da Loris Kanneworff, che aveva tradotto in italiano il complesso regolamento che disciplinava oltre 90 diverse possibilità di primato.
Avevo anche richiesto alla FAI, con notevole spesa, copia dei dossier dei record che volevo “attaccare” e da questi desunto una infinità di dati che mi avevano permesso di avere idee abbastanza chiare circa le caratteristiche dei velivoli che in seguito avrei utilizzato, per tentare i primati che allora ritenevo di maggior prestigio: RC motore a scoppio distanza in circuito, distanza in linea retta e durata.
Il desiderio di rompere il ghiaccio tuttavia, mi suggerì di valutare se tra i modelli disponibili in cantina ve ne fosse uno adatto, finiva l’anno 1984.
In effetti ne trovai due: uno bello pronto e collaudato ed un altro già imbastito da terminare con un centinaio di ore di lavoro.
Il primo è stato una delle pietre miliari dell’aeromodellismo: il Cessna 172 dell’Aviomodelli, potenziato da un Supertigre ST 60.
Il primato mondiale di altezza era a quei tempi intoccabile, oltre 8.000 m, lo aveva stabilito nel 1970 il mitico Maynard Hill, con la collaborazione della Marina degli Stati Uniti che aveva messo a disposizione un radar per certificare la quota raggiunta, mentre Maynard seguiva e pilotava il modello (senza alettoni ma dal forte diedro per auto stabilizzarsi) osservandolo con un telescopio da 35 ingrandimenti, mantenuto sul velivolo da altro operatore.
Perderlo di vista anche solo per un attimo sarebbe stato un danno irreparabile, vista l’estrema difficoltà di riuscire a centrare nuovamente quel puntino invisibile ad occhio nudo.
Ricordo che il modello deve atterrare entro un raggio di 500 m. dal punto di decollo, pena la non omologabilità del primato.
Il record italiano non raggiungeva i 1.000 metri, condizionato dall’esigenza di certificare l’altezza raggiunta tramite teodoliti e calcoli trigonometrici (in alternativa era anche possibile fornire il tracciato barografico del volo, ma all’epoca non esistevano barografi di piccole dimensioni).
La mia idea era semplice ed intrigante: lanciare in volo il Cessna ed inseguirlo con un aereo vero; un altro aereo, con a bordo i commissari ed un barografo, ci avrebbe seguito, tenendosi a distanza di sicurezza ed a quota leggermente inferiore.
Nella capace fusoliera del Cessna fu collocata una bottiglia di Coca-cola o Pepsi da 1,5 l. ed un pacco batterie da 1.200 mA/h.
L’apparato radio Futaba 72.870 MHz, senza l’utilizzo di un lineare, era stato potenziato con la sostituzione di un transistor e dell’antenna, che ora poteva far corpo unico con qualsiasi struttura metallica.
La portata utile collaudata era salita a più di 5 Km, non indispensabile per il pilotaggio, ma per garantire una certa sicurezza contro le interferenze a fronte di un consumo praticamente invariato.
Nella giornata di lunedì, a quei tempi, l’Aeroclub di Torino restava chiuso e mi fu possibile, con apposita autorizzazione, allenarmi al decollo ed all’atterraggio in corsa, scorrazzando avanti e indietro lungo la pista, inseguendo un acrobatico, a bordo di una Fiat Ritmo Cabrio guidata dall’amico Marco Rossaro.
Il Cessna, con il serbatoio pieno ed il gas al 60%, aveva un’autonomia superiore a 60 minuti e questo poteva consentirci di decollare, guadagnare quota portandoci fuori della QTH (verticale sull’aeroporto), superare 3.500 m. sul livello del mare, ritornare alla base smaltendo la quota ed atterrare non lontano dal punto di decollo.
Per avere un buon feeling con il volo e con i piloti dell’Aero Club, mi ero iscritto al corso per il conseguimento del brevetto di volo a vela, che praticai con una certa assiduità arrivando a volare senza istruttore, ma che per pigrizia ed altri interessi non conclusi mai con il fatidico esame.
L’istruttore di volo, Daniele Zecchin, era giovane, capace e disponibile: sarebbe stato lui a pilotare il motoaliante da due posti affiancati che ci avrebbe portato in quota, mentre un altro socio dell’Aero Club avrebbe pilotato l’aereo con i commissari.
Alla data fissata per il primo tentativo sul finire di febbraio, ci trovammo tutti puntuali, verso le nove del mattino, avvolti in una nebbia impenetrabile.
Con tutta probabilità alcune decine di metri sopra di noi il cielo era terso ma lungo la pista la visibilità non superava i 20 metri.
Sentito l’ufficio meteo non ci restò che stabilire la data per un secondo tentativo e ritornare tutti alle nostre abituali occupazioni.
Un paio di settimane più tardi eccoci nuovamente al “campo” con un bel sole, cielo azzurro e vento quasi assente.
Finalmente era giunto il gran momento (il primo di una lunga serie).
Con il radiocomando in mano, il pacco batterie ausiliario collegato alla TX in tasca e l’antenna esterna solidale con la struttura dell’aeromobile, attendevo gli ultimi istanti prima del decollo.
Enrico Bellon era stato delegato all’ultimo ritocco della carburazione, il modello era pronto ed io tramite microfono e cuffia diedi al pilota il via.
Il Cessna decollò senza tentennamenti, seguito dal motoaliante, estremamente più goffo e lento.
I primi istanti furono ricchi di apprensione vista l’assoluta novità e l’esigenza di non allontanare troppo l’aeromodello in attesa che il motoaliante prendesse velocità.
Un 360° non troppo ampio, mi consentì di posizionare il piccolo velivolo un centinaio di metri avanti a noi e successivamente di procedere alla stessa velocità, regolando opportunamente il gas e compiendo all’occorrenza una serie di esse.
Alla velocità di circa 90 Km/h la limitata potenza del grosso aereo non permetteva di salire a più di 1 – 1,5 m/s, mentre il modello, potenziato da un 10 cc. avrebbe potuto arrampicarsi molto più velocemente.
In circa 30 minuti raggiungemmo quota 3.700 m. mantenendo sempre la massima concentrazione ma senza rinunciare, di quando in quando, a dare una sbirciatina all’arco alpino, perfettamente innevato ed a quel cielo, dal blu così intenso.
In contatto radio con il secondo aeroplano, riuscimmo dopo vari tentativi a ricongiungerci, (non erano ancora di uso corrente i GPS) incrociandoci come previsto a quote leggermente diverse.
Ora non restava che ripercorrere in senso opposto il tragitto, riducendo il gas e perdendo progressivamente quota.
Tutto procedeva per il meglio, quando a circa 1.500 m. vidi il modello rallentare vistosamente: l’elica era il bandiera a causa della piantata del motore.
La velocità dei due mezzi ora era assolutamente incompatibile: in pochi istanti il motoaliante avrebbe sorpassato il modellino con conseguenze facilmente immaginabili.
D’istinto spostai il trim a picchiare facendo riguadagnare la velocità perduta, ma perdendo rapidamente quota.
In questo frangente emersero tutta l’abilità ed esperienza del giovane Daniele Zecchin che manco fosse a bordo di un agile Spitfire, dopo aver tolto gas, si buttò prontamente in una stretta spirale, lavorando di quando in quando con gli aerofreni.
Senza dire una parola ci eravamo intesi: entrambi i velivoli dovevano compiere ampie spire dal diverso diametro in funzione della diversa velocità.
Con il walky-talky che portavo ancorato al petto avevo lanciato l’allarme a Marco Rossaro che durante il tentativo era posizionato nei dintorni di Rivoli ed al quale avevo dato la nostra posizione.
Fortunatamente non era troppo lontano rispetto alla nostra verticale e non ci mise molto ad individuare quel grosso aereo che spiralava verso il basso.
Ormai eravamo quasi a terra: pur non avendo mai praticato volo in pendio, ricordai di aver letto qualcosa sulla tecnica dell’ombra in atterraggio, quando la quota del modello si trova molto al di sotto di quella del pilota.
Non potevo scegliere il punto, ma potevo alleggerire l’impatto cabrando al momento giusto e così fu.
Con notevole fortuna non si ruppe nemmeno l’elica ed i danni si limitarono ad una leggera flessione del carrello in alluminio.
Dall’alto guidammo Marco al ricupero, per puoi riprendere la direzione per l’aeroporto.
Il tentativo era fallito ma che esperienza gente!
Per noi era tutto nuovo, tutto da scoprire ed avevamo dimostrato che tale strada, con tutti i limiti e vantaggi che ne potevano derivare, era percorribile.
La tensione finalmente poteva sciogliersi, seguita da un furioso mal di tesa.
Il motore si era spento probabilmente a causa dell’eccessiva percentuale di nitro metano utilizzata (circa il 18%) e del raffreddamento conseguente alla riduzione del gas.

Manco a dirlo, dopo circa un mesetto l’esperienza verrà ripetuta e questa volta grazie ad una percentuale di nitro metano ridotta alla metà ed all’accortezza di compiere il viaggio di ritorno senza diminuire gas, tutto procederà senza intoppi fino all’atterraggio effettuato a meno di un centinaio di metri dal punto di decollo.
Quota raggiunta 3.300 m. meno quota di partenza 250 m. = nuovo record italiano 3.050 m.
Qui finisce il racconto di una delle mie più forti emozioni.

Nei giorni scorsi con grossa soddisfazione ho ricevuto dal Signor Cesare de Robertis titolare della Rivista Modellismo, l’invito a raccogliere e pubblicare i ricordi legati ai vari primati.
Ho aderito con entusiasmo, anche se la cosa, a causa dei miei attuali impegni, seri e meno seri, richiederà parecchio temo, nella speranza di stimolare altri a ripercorrere questa strada, disseminata di studi, ricerche, lavoro, tante delusioni, ma a volte, insuperabili soddisfazioni.
Un cordiale saluto.
Gianmaria Aghem
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